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Un 2019 inaspettatamente springsteeniano

L'ho senz'altro accennato più di una volta, qui sul blog, ma non mi sembra di aver mai approfondito la questione: sono uno springsteeniano di stretta osservanza dal 1985, ossia da quando lo sentii duettare con Stevie Wonder in We Are the World.
Ricordo l'attesa spasmodica del quintuplo live, il primo disco uscito dopo averlo scoperto, gli infiniti pomeriggi passati ad ascoltarlo sullo stereo di casa e i testi studiati a memoria e tradotti con l'aiuto del Ragazzini, probabilmente comprato proprio per quello scopo*.
Ricordo la sera prima di partire per le mie prime vacanze da solo, il 3 luglio 1988, incollato al suddetto stereo per registrare il primo set del concerto di Stoccolma del Tunnel of Love Express Tour, trasmesso per radio, e l'emozione, ventinove anni dopo, di risentire quel concerto finalmente per intero.
Ricordo la delusione dell'addio (fortunatamente temporaneo) alla E Street Band, e quella per i dischi gemelli Human Touch e Lucky Town, i primi comprati direttamente in Cd; delusione peraltro non ancora del tutto superata, anche se in parte li ho rivalutati.
Ricordo il 28 giugno 2003, quando finalmente sono riuscito a vedere dal vivo Brooce, nell'indimenticabile concerto di San Siro: molto semplicemente, la miglior esperienza musicale, e una delle serate più belle della mia vita.
Insomma, io e Springsteen, we go way back: la sua musica mi ha accompagnato per quasi trentacinque anni e i suoi testi** hanno dato forma ai miei sogni, mi hanno ispirato e consolato. E devo essere sincero: ero convinto che ormai dal Boss mi potessi aspettare dei buoni dischi, ma niente di più; in fondo il rock è musica da giovani.

La mia convinzione ha subito un primo scossone nel dicembre 2018, quando è uscito, su Netflix e in disco, il magnifico Springsteen on Broadway, che mi ha fatto capire che, anche se lo spettacolo è tutto basato su canzoni già pubblicate, il vecchio Boss ha ancora qualcosa da dire, eccome se ce l'ha.
E poi è arrivato questo 2019. Springsteen ha compiuto settant'anni, ha fatto uscire due dischi e un film (in effetti tutti parte dello stesso progetto) e ho realizzato che forse è vero che il rock è musica da giovani, ma la grande musica non ha età. Perché non c'è dubbio: Western Stars, in tutte e tre le sue incarnazioni, è grande musica. È diverso da qualunque cosa Springsteen abbia fatto in passato, allo stesso tempo più intimo e più solenne, contiene alcuni dei suoi testi migliori, e, come tutta la grande musica, mi si è attaccato al cuore e alla mente e non sembra avere intenzione di staccarsi presto.
In più, in questo 2019 ormai agli sgoccioli, è uscito anche Blinded by the Light, storia romanzata il giusto*** di Javed, un ragazzo pakistano nell'Inghilterra in crisi e razzista del 1987, che trova in Springsteen un improbabile profeta, e nella sua musica un messaggio di salvezza che non sapeva nemmeno di stare cercando: abbi il coraggio di seguire i tuoi sogni, di essere sempre fedele a ciò che sei, senza dimenticare mai da dove vieni, e non lasciare che quanto di brutto di capiterà nella vita (perché ti capiterà), ti faccia perdere le tue parti migliori.
Ora: sarà perché, con le ovvie differenze di contesto e di background, quel messaggio è sempre stato una gran parte di quello che ha attirato anche il vostro affezionatissimo alla musica di Springsteen, sarà perché alcune scene sono pericolosamente simili a situazioni che ho vissuto anch'io, il film mi è piaciuto. Parecchio.
E quanto al messaggio che ha tanto colpito sia me che Javed: non sempre ne sono stato all'altezza, anzi, probabilmente lo sono stato molto di rado, ma non ho mai smesso di crederci.

 
* Credo che quelle sessioni di traduzione siano uno dei motivi principali per cui sono sempre stato piuttosto bravo in inglese.
** Insieme alle parole di Stephen King, che ho conosciuto qualche anno dopo.
*** Il film è ispirato abbastanza liberamente all'autobiografia Greetings form Bury Park di Sarfraz Manzoor, che ho letto sempre quest'anno e che recensirò a breve.

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